Questione di radici
Scrivendo questo pezzo ho ascoltato l’album Close to paradise di Patrick Watson (2006)
Il mio viaggio in Romania aveva tre semplici scopi: vedere mio padre dopo più di due anni, ammirare la sua ultima fatica, la ristrutturazione di un monolocale in centro Bucarest, e decomprimere.
Ogni volta che torno in Romania riesco a coglierne qualche aspetto inedito. Ha un fascino straordinario la Romania rurale così come quella urbana. Mi dà un grande dispiacere pensare di avere in qualche modo sabotato cosa c’è dietro al 50% del mio DNA.
La dinamica del paesino in cui sono cresciuto, i luoghi comuni, la corsa per l’accettazione, dire che ho origini rumene è sempre stata un’ammissione più che un orgoglio, per giunta continuamente seguita da un “ma” quasi a volersi giustificare, come se intaccasse o compromettesse qualcosa. E questa cosa è così stupida che mi fa rabbia. Vorrei rimediare, lo devo a me stesso, a quello che sarà di me.
Per fortuna chi ero è diverso da chi sono, così come chi sono è diverso da chi sarò. Questa consapevolezza mi incoraggia a non smettere di cercare. Qualunque cosa io stia cercando.
E’ così che ho deciso che tornerò, e tornerò ancora, per cercare.
Quando semplice è in realtà straordinario
Non ho fatto il turista, non ho mai smesso di lavorare in realtà, ma è stato bellissimo cambiare aria, rallentare, andare a dormire presto e svegliarsi prestissimo. Ho passato i miei giorni in una casa di campagna, con quattro cani e un gatto spassosissimi, dove i comfort sono soluzioni fai da te geniali, e non manca proprio nulla per essere felici.
Ho fatto una vita così semplice da sembrarmi straordinaria e un po’ già mi manca, proprio adesso che sto scrivendo, ora che intorno a me, nel via vai frenetico di un aeroporto enorme come quello di Bucarest, sento l’ansia da prestazione anche degli altri, nel lavoro, nei rapporti, verso se stessi.
Qualcuno mi ha detto che la vita spesso è come essere su un palcoscenico, solo che qui non ti applaude mai nessuno, anche quando sei stato indubbiamente bravo. Penso che un artista che si rispetti non debba cercare il consenso del pubblico, ma la massima espressione di sé in quel preciso momento. Così dovrebbe anche andare la vita, secondo me.
E’ incredibile quante cose si possano imparare in una settimana. Ho come l’impressione di non aver ascoltato la vita come avrei dovuto o meglio potuto nell’ultimo periodo, perché per quelli come me, quelli che possono scegliere, si presentano continuamente delle opportunità, ma non è facile distinguerle: lascia perdere il successo, l’ambizione, i numeri. Sto parlando delle cose che contano per davvero.
Se la terra è cemento
Ho conosciuto Dan, il vicino di papà. E’ un ex grafico che ha scelto di vivere in simbiosi con la natura. Fa sul serio, mica come certi hipster miliardari. Vive di quello che gli danno i suoi animali, non ha il bagno, si lava nel lago e si è costruito una casa in terra con un sistema di areazione degno di un ingegnere aeronautico e un letto-stufa. Sì, hai capito bene. La stufa è in realtà il suo letto e il suo letto la stufa. Girala come vuoi, il concetto è quello.
La terra è come cemento se sai come lavorarla, l’ho toccato con mano. Non resiste all’acqua, questo sì, è un bel problema, bisogna farci i conti.
Non avevo mai visto niente del genere, un tugurio buio e piccolo, eppure a modo suo confortevole, dove ho percepito il senso di casa, un tema per me ricorrente.
Dan è robusto, esprime forza e vigore. Ha degli occhi azzurri profondissimi e buoni che pare sorridano, la barba incolta, la capigliatura riccia. Ci siamo detti più cose di quelle che pensiamo di esserci dette. Ne sono certo.
Con orgoglio mi ha mostrato la sua terra, ha insistito che ci mettessi le mani dentro, che ne apprezzassi la consistenza, che ne sentissi il profumo, che ci sentissi la vita. Con la prossima pioggia, crescerà di tutto. La vera essenza del biologico è qui. Ha lavorato anni per arrivare a questo punto.
Quando ci siamo salutati ha fatto segno di attendere e ha detto: “cadou” (regalo). E’ tornato con un uovo di una delle sue oche che puntualmente ho mangiato il giorno dopo. Era squisito.
Dove finisce e dove inizia un uomo
Si dice che sia difficile essere genitore, ma spesso è molto complicato anche essere figlio, o fratello. Non ci sono libretti di istruzioni validi per certe cose. Chi sono oggi è il frutto di una serie di robe e vicissitudini che non sempre trovano una spiegazione. Quante ombre, quanti traumi. Forse anche tu non è che ti senta sempre così bene. E’ quello il momento in cui diventiamo grandiosi. Io la penso così.
Non sono ancora pronto ad aprire la porta della “stanza più buia” e non so se mai lo sarò, ma da un paio di anni a questa parte ho fatto pace con il passato, dopo una lunga e sfiancante scazzottata con la cocciutaggine e con l’orgoglio. Lui, l’orgoglio dico, è un vero bastardo. Ti toglie tutto se non lo metti sotto. Massacralo.
Così ho prima capito, poi ho perdonato e oggi vorrei semplicemente amare e imparare. E su questo c’è la proprietà commutativa. Come andavi in matematica alle elementari? “Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia“.
Quello che ho imparato dai miei genitori, entrambi un po’ fuori di testa come me, è che sono figlio dell’amore e l’amore il più delle volte è una roba tanto difficile da gestire. Tutto quello che posso fare adesso è restituire, non necessariamente al mittente, semplicemente restituire.
Io non lo so dove finisce un uomo, ma sono certo inizi da qui.
Mi sento fortunato ed orgoglioso che sei talentato bravissimo e intelligente ma la mia soddisfazione è che hai capito veramente che cosa è la vita.
Bello!