Il merito, gli altri, e quella mano sul cuore

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Scrivendo questo delirio, ho ascoltato Damon Albarn, Everyday Robots, 2014

Non ho la lavastoviglie. Casa è piccola, occuperebbe spazio prezioso e io tendenzialmente non mangio. Mi piacciono i paninetti al bar, ho trovato un posto che ne fa per tutti i gusti a 1,80€. Oh, ti farà sorridere ma per me è una coccola quella: birretta e paninetto. Il break speciale che posso permettermi.

Non ho il timore di esagerare con i carboidrati, ma ciclicamente mi allineo, vado a fare la spesa, provo a cucinare pietanze con risultati discutibili, nel senso che vorrei proprio discuterne con qualcuno, un giorno, di che cosa succede, quando con evidente imbarazzo anche se sono solo, mi dedico ai fornelli.

Ho fatto i miei migliori esperimenti durante il Covid: mi sono fatto consegnare a domicilio una mega spesa per affrontare la quarantena in solitaria e il giorno dopo il cospicuo approvvigionamento, ho perso gusto e olfatto: “ciao sono Nicolas e la mia vita va più o meno così”.  

Ho giocato a Masterchef lo stesso ma ho fondamentalmente gustato “temperature e consistenze”, come dice una mia cara amica. 

Indagine su un merito al di sopra di ogni sospetto

Tornando alla lavastoviglie che non ho: lavo i piatti a mano e ogni tanto gioco con la schiuma come un cretino. A me fa ridere mettermi la schiuma sulla punta del naso, mi ricorda una persona a me molto cara ed è uno di quei flash del passato che metto nel cassetto delle robe belle

E’ piacevole la sensazione del ricordo in genere ma non mi piace tornare bambino perché piangevo sempre. Le maestre dicevano che ero molto, anche se implicitamente credo intendessero “troppo”, sensibile. La sensibilità non è una qualità oggigiorno, è una condanna.

Sulla pagella di quinta c’è scritto nel campo “relazione con i compagni”: “un leader che tende ad emergere”.
Com’è che invece sono sprofondato? E poi quale leader? Pronostico totalmente sbagliato. Peccato.

Ritorniamo al lavaggio delle stoviglie: oggi compiendo questa stimolante attività casalinga con i miei guantini rossi in lattice, mi ha colpito in testa violentemente, come un pezzo di carta masticato e pregno di saliva che quel compagno di classe – che ti assicuro, odierai anche in età adulta – ti spara addosso soffiando con tutto il fiato che ha in gola nella sua cerbottana artigianale fatta con la cancellina smontata, il concetto di “merito“. (scusa per come ho gestito la punteggiatura in questo periodo, se lo hai letto ad alta voce hai quasi finito il fiato, chiedo venia).

Il merito mi affascina perché è tra quei concetti che hanno ambivalenza positiva e negativa. Puoi “meritare” il raggiungimento di un risultato ambizioso, il consenso, un riconoscimento, la stima, il successo se vogliamo esagerare, così come puoi “meritarti” una disgrazia, un castigo, il fallimento.

Se dovessi dirmi “te lo meriti” senza contestualizzare l’affermazione, andrei in crisi. Se ti dicessi: “te lo meriti”, così, dal nulla, fuori contesto e senza argomentazione alcuna, tu a cosa penseresti? A qualcosa di bello o brutto? Io tendo a colpevolizzarmi e ad essere quasi geloso dei miei fardelli, quindi la mia risposta te la puoi immaginare. 

Perdendomi nella sua mano

Ci sono alcune persone che mi fanno vedere un me capace. Una in particolare detesta e soffre più del sottoscritto per l’autocommiserazione che spesso mi prende, il mio non considerarsi mai adatto alla situazione e al contesto, il mio sentirmi una nullità. Soffre per i miei periodi di chiusura perché semplicemente “non ce la faccio”.

Quando riesco a vedermi con i suoi occhi, grazie a un attento esercizio, molto impegno e sano autosabotaggio, vedo una persona onesta, sincera e discretamente brava in quello che fa. Sono io e non ci posso credere

Ti auguro di incontrare una persona così e ti invito a cercarla sempre. E se l’hai persa, trova il coraggio per cercare ancora, per quanto ardua sia l’impresa e per quanto non sarà mai la stessa cosa, perché se c’è qualcosa di cui sono sicuro, è che siamo unici per davvero

Non confondere la vanità con la necessità di sentirsi importante per qualcuno e trovare il proprio posto nel mondo, perché pensare che gli altri non esistano, che siano satelliti intorno al mio pianeta del cazzo e che bisogna andare avanti sulla propria strada, ignorando il comune e il collettivo, è una di quelle cose che mi fanno odiare questo posto.

Le strade sono comuni, le percorriamo insieme, a volte per brevi tratti, a volte per vite intere. Tutti prima o poi ci facciamo un pezzo di strada da soli, io spero che il tuo sia brevissimo. 

Noi esistiamo con gli altri e per gli altri. Siamo parte dell’altro. Ci portiamo appresso il sapere di altre persone, atteggiamenti trasmessi, contaminazioni, esperienze altrui. Nemmeno i tratti somatici sono inediti.

L’individualismo di questi tempi storici mi terrorizza. Ho paura di non trovarti più e ancora più paura di non trovarmi più.   

Faccio il tifo per te 

Ho provato invidia in vita mia. Me ne vergogno perché è tempo sprecato. Stiamo su questa terra – che puntualmente violentiamo – per una manciata di giorni, se ci pensi. Il tempo speso per l’astio o nello screditare un altro come me, è sprecato. E’ roba da idioti

“Lui c’ha i soldi”, “lui c’ha i ganci”,”che culo”, “io sono più bravo”. Lascia perdere: sono frasi infelici, tu sei migliore di così.  

Fai il tuo, fallo bene, fallo pensando a chi ami per davvero. No, non è così che arriveranno i famosissimi risultati e il tiro delle somme forse sarà sempre deludente. Però mi sembra un buon consiglio. Che ne so io di come ci si realizza?

La frustrazione io la capisco bene, ma non giustifica l’invidia, mai. Non dovrebbe alimentare il malessere ma spingerti al cambiamento. Tu sei tu, sono sicuro che sei un gigante nella migliore versione di te.

Quindi voglio dirti che faccio il tifo per te, indipendentemente dai meriti, che spesso sono oggettivi e indiscutibili se non ti fermi in superficie. A volte mi chiedo come alcuni non riescano ad arrivare, ma difficilmente non capisco perché qualcuno è arrivato. Pensaci bene.

Il successo degli altri non mi danneggia, perché devo scomodare un sentimento scomodo, stupido e irrazionale come l’invidia? E se la trasformassi in ammirazione? E se diventasse ispirazione? 

Ammiro il coraggio di chi fa delle scelte vere, chi abbandona l’autostrada per provare un sentiero. Arriverà più tardi a destinazione ma ci arriverà pieno, con il cuore massacrato ma ricco, affaticato ma consapevole, stremato ma vivo

O forse, come credo accadrà a me, non arriverà affatto. In questo periodo ho accettato di non sapere dove voglio andare, ma so con chi ho bisogno di stare e come voglio sentirmi nel quotidiano. Ci sono giorni buoni e giorni cattivi: i giorni cattivi sono quelli in cui non riesco a dare niente.

Ah, poi il mondo è troppo grande, troppo complicato per me. Questa iper connessione e questa sovrainformazione mi stanno massacrando, non so gestirle. Cerco un mondo piccolo, un posto che riesco a comprendere e che posso migliorare. Se sei arrivato fino a questo punto nel mio mondo ci sei entrato anche tu. 

E’ bello averti qui. 

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