E poi ci siamo persi

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Tutta questa merda della pandemia ha inizio per noi che viviamo in Italia più o meno nello stesso periodo, ma penso anche per te esista un giorno esatto a cui attribuisci l’inizio di un fenomeno che per quanto mi riguarda, rimane ancora indescrivibile sotto troppi punti di vista.

Questo giorno per me è il 22 febbraio 2020.

Per colpa di Andrea Dellapiana (ascoltati Byenow, sono eccezionali) che ha condiviso delle storie esattamente di un anno fa come suggeritogli dall’insaziabile algoritmo di Instagram, mi trovo a realizzare che è davvero passato un anno. Un intervallo che non so raccontare e che mi ha profondamente cambiato. Non che fossi particolarmente legato al me di prima, è un po’ che io e me siamo in una relazione complicata.

Quel giorno mi trovo a realizzare un progetto tra i più significativi degli ultimi anni e non solo, insieme a persone incredibili e appassionate alle cose sbagliate come me, che ho avuto modo di conoscere meglio nei mesi intensi di incubazione e organizzazione dell’evento Let’s get lost: a night with Elliott Smith.

Il cinema teatro di Saluzzo è gremito di gente. La sento chiacchierare mentre le luci in sala sono ancora accese e sta prendendo posto per assistere allo spettacolo. Sono abituato ad essere in mezzo alla gente fino a un secondo prima di salire sul palco (quando c’è) e non posso fare a meno di constatare che il sipario chiuso stuzzica il mio intestino. Ho scoperto il senso dell’espressione “cagarsi addosso” intesa come ansia da prestazione, alle elementari: dovevo recitare una parte in piemontese in uno spettacolo in chiesa per Natale. Io, col papà rumeno e la mamma francese.

Sei lì, aspetti di entrare in scena, dietro alle quinte ci sono gli altri con cui hai fatto lo stupido nei camerini tutto il pomeriggio. Mentre Marco Pautasso e Valeria Nigro introducono la serata, noi ridiamo come scolaretti in gita, decidiamo in fretta e furia da che parte entrare e ci accordiamo sulle ultime cose da non dimenticare.

Si aprono le tende e noi sentiamo addosso l’attenzione della platea. Un’ultima occhiata agli appunti sulla locandina che mi ricorda la splendida Iaia e ci siamo. C’è un grande applauso che profuma di rispetto.

No. Non ci sono così abituato. La musica si fa ovunque e questa è una delle sue migliori peculiarità, ma quando il contesto è quello giusto, allora anche la tua esibizione si carica di professionalità, di empatia, di riguardo, di attenzione. Sei concentrato perché in quel momento tu hai un ruolo inequivocabile. Sei sul palco e fai la tua cosa. Il pubblico in sala ti ascolta.

Vicino a me ci sono Frank Alloa (ascolta La Moncada), Edo Vogrig (ascolta Tweeedo), Andrea Dellapiana, Nicola Meloni, Zefiro Ferraro (ascolta One Dying Wish e Seaword Alaska) e Endi Sassano (ascolta Low Standard, Hight Fives). Poco dopo saliranno Simone Bob Pagliano, Michele Grande e Nicolò Cuniberti. Al mixer c’è Manuel Volpe. Non lo vedo ma lo sento. Quando c’è lui io sono tranquillo. Intorno a me non ho colleghi o collaboratori ma amici, fratelli. Per chi la vive come noi, la musica non è solo un lavoro o un interesse che ti avvicina ad altre persone ma è una porta aperta a stanze intime e spesso buie, che sfocia in una connessione tra le nostre debolezze e fragilità.

Non è certo che tu capisca, perché non è roba per tutti. Se sei di quelli che quando c’è uno stronzo o più stronzi che suonano ti senti infastidito, cerchi di parlare più forte perché non senti il tuo interlocutore o maledici il gestore del locale che organizza live perché tu volevi solo bere quella sera, ecco, lascia perdere. Per tua fortuna ci hanno riempito di intrattenimenti. Intrattieniti altrove. Questo è l’unico spazio dove posso mandarti a fare in culo. Perdonami ma era un po’ che volevo farlo.

Il 22 febbraio Io volevo solo che stessero tutti bene. E siamo stati benissimo. Ascoltavo gli altri suonare e cantare il “mio” Elliott Smith, realizzavo di aver fatto parte di qualcosa di pesante, di realmente significativo. Ogni minuto dedicato a questa cosa e tolto ad altro si godeva il suo riscatto. Volevo piangere e volevo ridere. Scelsi di fare entrambe le cose.

A fine serata ero finalmente sbronzo e straparlavo con Massimiliano, Fabio e gli altri ragazzi del mitico Ratatoj che ancora tengono botta e promuovono cultura in ogni sua forma in quel di Saluzzo. Si parlava di questa cosa del Covid e dell’ordinanza di chiudere i teatri la settimana successiva. Che roba strana. Sarà una cosa passeggera. Nel 2020 se vivi nella parte giusta del mondo è insolito avere paura.

Let’s Get Lost.

Quella sera ci siamo persi in Elliott Smith esattamente come volevamo. E poi ci siamo persi.

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